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Barbabella: “Riflessioni generali con riflessi locali”

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LA SITUAZIONE È PIÙ SERIA DI QUELLO CHE APPARE E LA COSA CI RIGUARDA MOLTO DA VICINO. RIFLESSIONE DOPO LA VICENDA DELLE ELEZIONI DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Gettiamo uno sguardo rapido sulla situazione generale. Sembra tutto confuso e invece non lo è. Perché in realtà tutto si tiene: quello che abbiamo visto in queste settimane per l’elezione del Presidente della Repubblica, la gravità dei problemi, l’inadeguatezza dei partiti, i compiti del governo. Ma anche il rapporto di tutto ciò con le logiche dei governi locali figli della stessa stagione che ha mostrato la corda. Due serie di dati ci fanno capire come siamo messi.

L’Ocse ci dice che l’Italia è ferma da decenni: negli ultimi 30 anni i salari sono rimasti al palo (un lavoratore su quattro sta sui mille euro al mese), mentre in Francia e Germania sono cresciuti del 30% e in Spagna almeno del 5%. Le pensioni o sono ferme o hanno visto diminuire costantemente il loro potere d’acquisto. Questo produce un impoverimento soprattutto a livello delle zone del paese dove ci sono debolezze consolidate, dove il lavoro è precario e dove abbonda la popolazione anziana. IL PERICOLO PIÙ SERIO È L’ACQUIESCENZA ALLA SITUAZIONE E ACCONTENTARSI DEL LAMENTO, PENSANDO CHE IL GOVERNO REGIONALE E QUELLO LOCALE NON POSSONO FARE NIENTE.

Il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali ci fornisce il quadro delle dichiarazioni dei redditi 2019. Solo 500 mila contribuenti (1,2% del totale) dichiarano più di 100 mila euro annui. Solo il 13% (5,5 milioni di contribuenti) dichiara redditi lordi di 35 mila euro (2000 euro netti). Come dire che i ricchi e i ceti medi si sono eclissati. Tutti gli altri, l’85% dei contribuenti, dichiara di stare sotto i duemila euro al mese, ed è chiaro che arricchirsi o anche solo risparmiare sotto i duemila al mese è impossibile. C’è dunque un colossale problema, che non è solo di giustizia e di equità, ma di funzionamento dello stato, di investimenti in sviluppo, di qualità dei servizi, che ci tocca da vicino. Il generale anche qui si collega al particolare e al locale. IL PERICOLO È RITENERE NORMALE CHE LE COSE STIANO COSÌ E ACCONTENTARSI DELLE CHIACCHIERE.

Dunque le cose stanno così: paese fermo, salari e pensioni fermi, l’85% della popolazione ridotto alla sopravvivenza, ricchi spariti, ceto medio rarefatto. Perciò anche elusione ed evasione a gogò, scala sociale al lumicino, disparità e ingiustizie, tensione e sfiducia montante. Il sistema stato-regioni-comuni che non funziona. Classi dirigenti locali ferme e scoordinate. Perché le cose stanno così? E che rapporto c’è con i partiti e con quello che abbiamo visto in queste settimane?

C’è che per trent’anni si è fatto finta di non vedere, si sono scansati i problemi, ci si è giuggiolati con l’arte di arrangiarsi. Non si sono fatte le riforme necessarie. Che perciò stanno ancora tutte lì: le quelle istituzionali, la legge sui partiti, la riforma fiscale, la riforma del mercato del lavoro, la riforma della giustizia, quella del sistema sanitario, quella della scuola, quella dei livelli locali di governo (superamento del regionalismo, riforma delle province, superamento della frammentazione del livello locale di governo) e si potrebbe ancora continuare. È FUORI TEMPO E FUORI LUOGO CHE A LIVELLO LOCALE NON CI SI INTERESSI E NON CI SI MUOVA SU QUESTE QUESTIONI.

Sabato scorso Mauro Magatti in un articolo esemplare sul Corriere della sera scriveva: “Il problema è che, nel nostro paese, i diversi aspetti della questione continuano a venire affrontati separatamente, quando ciò che serve non è una sequenza di interventi scollegati, ma un’azione organica e massiccia mirante a modificare le distorsioni strutturali che bloccano la crescita”. Qui facciamo punto. Serve una cultura della visione delle cose, la capacità di tradurre la visione in progettualità politica e amministrativa, il coraggio di fare le scelte e di renderle operative. Si chiama cultura riformatrice. LA COSA INACCETTABILE È SENTIRE CONTRAPPORRE CONCRETEZZA E VISIONE.

Ci vuole una vera classe dirigente che ne sia capace. Che però c’è se i cittadini la scelgono, e per farlo devono essere informati, conoscere la realtà e poi far prevalere l’interesse generale su quelli particolari e del momento. Cose difficili e di lungo periodo. Però da qui bisogna partire, e se non si comincia mai non si arriva mai. LA COSA INACCETTABILE È SENTIRSI DIRE TANTO NON CAMBIERÀ MAI NULLA.

Abbiamo incominciato a pagare i prezzi della lunga inadeguatezza delle classi dirigenti. Tutto si tiene, come detto: i prezzi dell’inadeguatezza, lontana e vicina. Tra i tanti motivi che spiegano l’esplosione della crisi dei partiti ce n’è uno di cui nessuno parla, che però è fondamentale: la riduzione del numero dei parlamentari. Responsabilità di Movimento 5 stelle, ma anche di Lega e DS, e non solo. Frutto perverso della fase del moralismo giustizialista, con riflessi fino ad oggi. LE CLASSI DIRIGENTI CHE ABBIAMO OGGI SONO FRUTTO DI QUELLA CULTURA POLITICA CHE ORMAI NON RAPPRESENTA PIÙ LA REALTÀ, CHE VA GOVERNATA CON ALTRO PARADIGMA.

Che vuol dire? Semplice, partiti, gruppi, singoli parlamentari si sono preoccupati non tanto della soluzione migliore quanto di quella che poteva garantire meglio la sopravvivenza. Andreotti diceva: meglio tirare a campare che tirare le cuoia. Appunto. Poi in alcuni ad un certo punto è prevalso, se non il senso dello Stato, il senso della decenza, ed è arrivata la decisione della rielezione di Sergio Mattarella. Le conseguenze di ciò che si fa si vedono sempre dopo. Ora si vedono quelle dell’incompetenza e della demagogia. LA STORIA DEL SALVARSI CHI PUÒ MICA VALE SOLO A ROMA!

Si è chiusa dunque una lunga fase e se ne apre un’altra. Le istituzioni si salvano, ma la politica, una certa politica, ne esce a pezzi. Ora c’è un sistema da ricostruire ed è un compito di tutti. Basta superficialità, demagogia e populismo. Via i chiacchieroni e gli incapaci. Ora bisogna fare sul serio. VEDREMO CHI LO CAPISCE E CHI NO. LO VEDREMO A ROMA E A PERUGIA, MA ANCHE QUI DA NOI, DOVE I PROBLEMI INCALZANO E NON CE LA POTREMO CAVARE CON QUATTRO CHIACCHIERE E DUE DICHIARAZIONI CHE SANNO TANTO DI RESA A CHI COMANDA.


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